«Il fatto è che, a loro modo, le società, come gli individui, sono dotate di memoria, senza la quale non vi sarebbe storia possibile.

Sia chiaro che questa memoria collettiva – per ricorrere a un termine senza dubbio comodo, piú che rigorosamente esatto – è fatta, in realtà, da una moltitudine di contatti fra le memorie individuali, portate a comunicare fra loro, da una generazione all’altra, sia tramite la parola, che con lo scritto; che essa si risolve dunque, prima di tutto, in un fenomeno costituito da passaggi [da individuo a individuo].

Il ricordo così inteso costituisce un elemento vitale di ogni mentalità di gruppo. Troppo spesso gli studiosi, occupati, per esempio, a editare o commentare le cronache medievali, tendono a trascurare in quei testi le parti che, riguardanti epoche troppo remote oppure composte soltanto di brani tratti da autori piú antichi, paiono loro, a ragione, incapaci di insegnarci qualcosa di certo o di nuovo sugli avvenimenti che riferiscono.

Ciò vuol dire scordarsi che, per conoscere a fondo una collettività, occorre, prima di ogni altra cosa, recuperare l’immagine, vera o falsa, ch’essa si formava del suo passato.

Proprio come le memorie individuali, la memoria collettiva è spesso molto breve. Soprattutto, essa, fatta in principio per conservare, costituisce un meraviglioso strumento di deformazione, persino di smemoratezze che si ignorano».

(Marc Bloch, Apologia della storia, 1949)